Come le Industrie sementiere sfruttano gli #agricoltori. Tutti tacciono e gli affari continuano

Come le Industrie sementiere sfruttano gli #agricoltori. Tutti tacciono e gli affari continuano

E’ ormai pratica abituale delle industrie sementiere e degli agrofarmaci, quella di organizzare meeting sul territorio con tanto di banchetto faraonico gentilmente offerto a fine riunione. Come operatore in campo agricolo partecipo spesso e, ogni volta, sembra un remake degli incontri precedenti: stessa linea di comunicazione, stessi principi e stesso iter illustrativo.
Con una situazione di forte congiuntura del mercato cerealicolo (e non solo), la preoccupazione primaria delle aziende in questione sembra quella di infondere tra noi imprenditori agricoli ottimismo su un futuro imminente, proiettando scenari plausibili con particolare attenzione al continuo inflazionarsi della denutrizione. Spiego meglio: basta un’attenta documentazione dello scenario economico e agricolo internazionale per farsi l’opinione secondo cui questa decantata sensibilità al tema della fame nel mondo di certe aziende produttrici di agrofarmaci e sementi, sia in realtà una ‘finta’ motivazione per spingere gli agricoltori a strizzare al massimo ogni singolo acro di terreno. E allora al via le slide, con tanto di bacchetta per indicare prima l’aumento della popolazione mondiale (bocche da sfamare), poi i tragici numeri dell’inedia, con tanto di statistiche crescenti per gli anni a venire. E, infine, l’indicazione delle strategie da mettere in campo quanto prima per aumentare la produzione dei nostri terreni.
Un vero e proprio invito al popolo agricolo a tener duro in vista di tempi migliori, e quindi a seminare utilizzando nuove sementi, nonostante la crisi nera dei prezzi che incoraggia molti al set-aside (letteralmente ‘mettere da parte’) e al progressivo abbandono delle attività, magari seminando l’ultimo mais ibrido appena lanciato da loro sul mercato, che garantisce produzione e resistenza alla siccità enormi anche in zero tillage (nessuna lavorazione).
Già, la crisi dei prezzi dei cereali. Mi chiedo allora come mai una quotazione così bassa (il grano tenero, ad esempio, ha toccato quota 0,12 cent al kg) in un mercato costruito sulla domanda e l’offerta, come mai ogni anno la stessa storia, ovvero riserve di cereali ai massimi e crollo dei prezzi? Il premio Nobel per l’economia Amartya Sen, è riuscito a provare che le carestie che si sono abbattute in Asia e Africa nel Novecento non erano dovute a mancanza di cibo, ma a diseguaglianze di reddito. Mentre milioni di persone morivano di fame in Etiopia e in Bangladesh, infatti, i loro Paesi continuavano a esportare alimenti. Lo stesso Sen, all’Edison open 4Expo ha dichiarato: “Nel mondo, il problema della fame non è solo una questione di produzione di cibo, nè di scorte. Il problema è soprattutto economico. La produzione alimentare, nei decenni, è cresciuta molto più della popolazione. Quello che deve crescere ora, sono i redditi delle popolazioni, per mettere in condizioni le persone di comprare cibo” (Il Messaggero, 15/05/2015).
Le riserve di grano accumulate nel 2010 in India risultavano due volte più del necessario e nel Punjab il frumento marciva ai bordi della strada in attesa che il Governo decidesse come utilizzarlo. Nel frattempo, in India i livelli di denutrizione erano tornati a quelli degli anni 90 con il 20 % della popolazione che soffriva di fame cronica. Noi invece viviamo nell’era del benessere, nell’ala del mondo che prospera economicamente, che dispone di derrate alimentari abnormi e che, soprattutto, abusa di queste derrate. In occidente si spendono più soldi per l’acquisto e le cure in campo dietetico di quanto si spenda per i programmi di aiuto, per dar da mangiare ai paesi del Terzo Mondo. L’assunzione eccessiva di cibo genera un gran numero di patologie (disturbi cardiovascolari, ischemie, diabete, ecc.). Se la malnutrizione è imposta, l’obesità per sovralimentazione è indotta da un sistema distorto di consumo e di pubblicità: oggi circa 900 milioni di persone soffrono di malnutrizione, dall’altra parte, secondo l’OMS, circa il 35% della popolazione mondiale è in sovrappeso e l’11% soffre di obesità. (Blog Leggerò leggero – Appunti di cooperazione internazionale).
La FAO, nel rapporto del 2014 ha stimato che a livello mondiale lo spreco alimentare sarebbe pari a 1,3 miliardi di tonnellate all’anno, circa 1/3 della produzione totale di cibo destinato al consumo umano. In termini monetari, si stima che la perdita e lo spreco globale di cibo ammontino a 1.000 miliardi di dollari americani. Il fatto che il cibo sia diventato relativamente poco costoso per la maggior parte della popolazione dei Paesi sviluppati e che al suo acquisto sia destinata una bassa percentuale del reddito familiare, fa sì che i consumatori non percepiscano la convenienza di evitare gli sprechi. Al contrario sembra esserci un interesse commerciale a incentivare lo spreco, poiché esso permette di aumentare i consumi e quindi di far girare l’economia, favorendo così la distorsione del sistema alimentare.
Già dal trattato “I limiti dello sviluppo” (MIT, 1972 uno dei trattati destinati a fare storia), si denunciava la situazione alimentare mondiale; previsione poi confermata e rafforzata anni dopo grazie a strumenti informatici ben più raffinati, nella rivisitazione del trattato ad opera di Donella Meadows e Jorgen Randers: “L’odierna produzione di alimenti potrebbe essere sufficiente per tutti. E sarebbe possibile produrre altri alimenti ancora. Lo si potrebbe fare con molto meno inquinamento, meno terra e meno energia fossile e restituendo milioni di ettari alla natura o alla produzione di fibre, foraggio o energia. Lo si potrebbe fare in modo che gli agricoltori, che hanno il merito di nutrire il mondo, fossero ricompensati adeguatamente. Finora però è mancata la volontà politica di percorrere questa strada. La realtà odierna è che in molte regioni del mondo, il suolo, le terre coltivabili e le sostanze nutritive da cui dipende la produzione alimentare si stanno riducendo, come pure le economie e le realtà agricole. In queste regioni, impiegando i metodi odierni, la produzione agricola ha superato molti tipi di limiti”. Una riflessione anche da parte nostra, produttori agricoli e consumatori al tempo stesso, è d’obbligo.

Alessandro Riganelli