L’Italia deve restituire 7 milioni a #Bruxelles. Il #fallimento della nostra #burocrazia

L’Italia deve restituire 7 milioni a #Bruxelles. Il #fallimento della nostra #burocrazia

Non è una barzellatta. Tutto vero. La burocrazia e l’organizzazione italiana fanno acqua da tutte le parti. Questa vicenda descritta da Alberto Gamberini lascia veramente l’amaro in bocca, vista anche l’attuale situazione in cui versa l’agricoltura italiana.

Non siamo capaci di controllare a dovere come vengono spesi i soldi che Bruxelles destina all’agricoltura. Lo ha sancito il Tribunale della Ue, che con sentenza del 12 maggio ha condannato l’Italia a restituire quasi sette milioni di euro (per l’esattezza 6,886 milioni).
Si tratta di una vicenda che risale al periodo compreso fra il 2006 e il 2009, quando furono previsti sostegni agli allevatori di bovini e ovini attingendo alle risorse messe a disposizione da vari fondi, come il Feoga (Fondo europeo agricolo di orientamento e garanzia), il Feaga (Fondo europeo agricolo di garanzia) e il Feasr (Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale). Condizione vincolante quella di controllare la correttezza nella attribuzione di questi fondi e la verifica del loro utilizzo.
Le tappe della vicenda
A Bruxelles, a quanto pare, non si fidavano dell’Italia e con una lettera del 25 giugno 2008 la Commissione europea ci informava dell’arrivo dei suoi ispettori. Il loro compito era quello di verificare alcuni pagamenti supplementari per gli allevamenti di bovini e ovini e al contempo controllare l’esistenza delle condizioni particolari alle quali questi aiuti erano vincolati. L’esito di questi controlli non fu soddisfacente, tanto che la Commissione ritenne che non fossero completamente rispettati gli obblighi previsti dalle normative comunitarie.
Accuse respinte dall’Italia e dopo vari carteggi si arriva al 2011 con un incontro bilaterale per discutere l’intera materia. Le conclusioni della Commissione non cambiarono, confermando che il sistema di gestione e di controllo delle misure di sostegno predisposto dalle autorità italiane continuava a presentare lacune. Si arriva così al dicembre del 2012 con la comunicazione formale da parte della Commissione della non conformità della attuazione del regime di pagamenti supplementari da parte dell’Italia.
La risposta italiana
Pronta la replica italiana che già a inizio febbraio del 2013 decide di sottoporre all’organo di conciliazione europeo le questioni rilevate dalla Commissione. In particolare si chiede al Tribunale di annullare le “rettifiche finanziarie” per 6,9 milioni di euro e di condannare la Commissione alle spese.
La sentenza
Ed ecco arrivare il 12 maggio di quest’anno la risposta del Tribunale, che respinge il ricorso italiano e ci condanna a restituire 6,886 milioni di euro ai quali si aggiungono le spese processuali. Molte le motivazioni che accompagnano la sentenza.
Ne ricordiamo alcune, come la responsabilità dello Stato membro nel fornire prove circostanziate ed esaurienti dell’effettiva natura dei propri controlli e dei propri dati nonché, eventualmente, della inesattezza delle affermazioni della Commissione. Mentre la Commissione non è incorsa in alcuna violazione dei principi generali dell’Unione, l’Italia non ha provato che il proprio sistema generale di controlli sia compatibile con il diritto comunitario.
L’ultima speranza
Per l’Italia non sembrerebbe dunque esserci via di uscita. Le decisioni del Tribunale possono tuttavia essere impugnate dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
Ma ci sono solo due mesi di tempo e l’impugnazione è limitata alle questioni di diritto. Difficile sperare in un esito positivo.

Dr. Nicola Gozzoli
Presidente Insieme per la Terra