Te lo do io il Made in Italy, Degl’Innocenti: qualità vera e verificata, accorciamento della filiera, programmazione della produzione

Te lo do io il Made in Italy, Degl’Innocenti: qualità vera e verificata, accorciamento della filiera, programmazione della produzione

Pubblichiamo la versione integrale del discorso del Nutrizionista – Dottore in Ricerca Daniele Degl’Innocenti fatto alla manifestazione “Te lo do io il Made in Italy” di Verona.

La manifestazione di oggi sancisce il malessere del settore agricolo. Si tratta di una malattia il cui sintomo è la mancanza di un reddito dignitoso per chi fa l’agricoltore e, soprattutto, per quegli agricoltori che producono prodotti di qualità. Come quelli del vero Made in Italy, delle produzioni sostenibili e biologiche del territorio. Il sintomo di una malattia di lungo corso, cronica, pluridecennale. Il 26 gennaio 2013 a Veronamercato, nella Tavola rotonda tra esperti ed il Ministro di allora, Catania, organizzata dal Consorzio Ortofrutticolo Padano, emergevano le seguenti considerazioni da parte di Fausto Bertaiola, presidente del Consorzio Ortofrutticolo Padano,:
“Le priorità su cui dovrebbero concentrasi gli sforzi del comparto ortofrutticolo e della politica sono la competitività delle aziende agricole in un mercato europeo unico, dove il prezzo è uguale per tutti e, in un mercato mondiale sempre più globale, il produttore italiano non riesce ad essere concorrenziale per i costi di produzione troppo elevati”.
“Il prodotto veneto è ottimo ma va supportato con strategie specifiche. Infatti, come per il resto d’Italia, il problema è che aumentano i costi di produzione ma non altrettanto i guadagni dei produttori. A parte alcune situazioni di nicchia, è sempre più difficile per il comparto far quadrare i conti delle imprese. Sul mercato c’è un’offerta crescente di prodotti: a quelli nazionali si aggiungono i prodotti esteri tra cui spiccano Spagna, Olanda e Nord Africa”.
Aggiungo quanto riportato oggi da ISMEA. Da qui al 2020 prevede una riduzione significativa del margine operativo lordo delle aziende agricole: – 6% nel Nord, – 2% nel Centro e -1,7% nel Sud Italia.
Riprendendo Bertaiola: “La distribuzione trattiene circa l’80% del prezzo del prodotto. Allora è sempre più necessaria l’aggregazione dell’offerta perché solo in questo modo si può raggiungere una certa massa critica da condizionare il mercato”.
Quindi il prezzo attuale, uguale per tutti e non remunerativo per i produttori italiani, è schiacciato verso il basso da un’offerta estera crescente, più a buon mercato, e dal mancato riconoscimento della maggiore qualità dei prodotti italiani da parte della distribuzione. Ma un altro punto importante è emerso in quella Tavola rotonda:
“Inoltre, è importante lavorare sull’origine e tracciabilità del prodotto perché il consumatore è disposto anche a spendere qualcosa in più per comprare un prodotto italiano di qualità e controllato”.
Ma i produttori italiani, nel loro complesso, sanno bene cosa intende il consumatore per “prodotto italiano di qualità” e “controllato”?
Nel mondo, da tanti anni, le aziende studiano attentamente il consumatore per indurlo ad acquistare i propri prodotti. Gli studi che riguardano l’acquisto di prodotti alimentari, hanno individuato con chiarezza quali e quanti sono i consumatori “disposti a spendere qualcosa in più” e cosa intendono per “prodotto di qualità e controllato”. Purtroppo qui c’è lo scollamento tra produttore e consumatore. Prima di tutto non si tratta di tutti i consumatori ma di una parte di loro. Si tratta di una parte consistente: uomini e donne, giovani-adulti, con reddito medio alto e istruzione elevata. Questi consumatori cercano prodotti di qualità non soltanto perché sono buoni, ma soprattutto per difendere la loro salute, considerata un bene primario, un valore resistente alle tensioni generate dalla crisi economica. Per questo si informano, leggono, approfondiscono, partecipano a convegni e dibattiti e altro. Alcuni partecipano anche a corsi di cucina. Ma negli anni il “Made in Italy” e le certificazioni di qualità, con i loro scandali, hanno posto non pochi dubbi a questi consumatori. Nel loro libro “Cibo criminale” Mara Monti e Luca Ponzi, riportando casi giudiziari, scrivono sulla mozzarella di bufala: “Numerosi controlli nella grande distribuzione hanno rivelato che nel 25% dei campioni analizzati, le mozzarelle non erano vere mozzarelle di bufala poiché contenevano almeno il 30% di latte di vacca”, disse Zaia al momento del commissariamento. Un danno assai pesante per il circuito onesto degli allevamenti e dei caseifici, strangolato dall’artificioso abbattimento dei costi: secondo le indagini, chi adultera le mozzarelle campane sostituisce almeno uno dei quattro litri di latte previsti per ottenere un chilogrammo di mozzarella, con uno di latte non DOP. Il risparmio è notevole: da 45 a 75 centesimi per litro di latte, quindi da 2 a 3 euro per chilogrammo di mozzarella. Facile immaginare i guadagni, dal momento che la produzione quotidiana si calcola in tonnellate”.
Sul pomodoro: “Le associazioni dei coltivatori, ma anche quelle degli industriali, lo hanno denunciato più volte: entra nelle fabbriche concentrato di pomodoro cinese che viene poi esportato come italiano. Spesso si tratta di materia prima in condizioni igieniche precarie, ma se la salute dei consumatori è a rischio, l’economia agricola è già condannata: i prezzi del pomodoro da industria italiano sono scesi così tanto da non essere più remunerativi, nel 2010 il calo è stato del 30%. Per questo, gli ettari coltivati si riducono di anno in anno. Al contrario, le importazioni dalla Repubblica popolare cinese sono aumentate del 174% in un trimestre e sono ormai pari al 10% della produzione nazionale”.
E sul ciliegino: “…Fatto sta che del pomodorino tunisino si sono perse le tracce e molto probabilmente è finito in qualche negozio del Nord Italia come Pachino. La conseguenza di azioni come questa non è solo quella di imbrogliare, come sempre, il consumatore finale, facendogli mangiare una cosa al posto di un’altra, un frutto ordinario al posto di uno di qualità, ovviamente più costoso. Ci sono altri danni collaterali, per dirla con un linguaggio militare. Il peggiore è la perdita di credibilità del made in Italy nel settore agroalimentare…. Ci sono agricoltori che stanno smettendo di coltivare, perché nessuno vuole più il vero Pachino, trovando sul mercato quello falso, che costa la metà”. Anche nel nostro territorio ci sono storie di prodotti che una volta, con la loro qualità, spuntavano prezzi più alti del mercato ma che poi, di anno in anno, sono confluiti nel “prezzo uguale per tutti” grazie ad aziende che hanno considerato la frode al consumatore un atto veniale.
La pesca di Bussolengo IGP può esserne un esempio. Non parliamo di olio extravergine d’oliva.
Quindi il consumatore “disposto a pagare di più” non si fida e compra “a spot”. Vorrebbe prodotti del territorio, realizzati in modo sostenibile ma soprattutto essere tranquillo su di aver speso bene i soldi: ne va della sua salute. Le soluzioni sono già state prospettate. Nel libro “Cibo criminale” si legge: “Lo strumento privilegiato per evitare infiltrazioni e contaminazioni nella filiera agroalimentare resta in ogni caso quello della tracciabilità completa delle materie prime e degli alimenti. Per poterla applicare è però necessario un salto di qualità culturale ed etico anche da parte dei produttori onesti, come ha ricordato il procuratore Grasso ai parlamentari: “Se come imprenditore voglio commerciare in nero, non ho interesse a tutto ciò: non posso farmi fare i conti in tasca da chi poi mi fa i controlli anche sul versante fiscale, perché il commercio nero è impossibile! Quindi è un problema di sistema, un sistema che in Italia lucra sul sommerso: è un sistema illegale nella sua complessità, non solamente nel campo della contraffazione. Se si vuole creare un sistema legale conveniente, bisogna sottostare ad alcune regole e, quindi, non si può avere un ‘cadavere nell’armadio’ o il problema dell’evasione fiscale o della concussione”.
Si aggiunga quanto emerso nella Tavola rotonda di Veronamercato: “L’altra priorità, ¬ ha aggiunto il presidente del Consorzio Ortofrutticolo Padano, ¬ riguarda la necessita di accorciare la filiera, troppo occupata da passaggi che sottraggono valore aggiunto alla produzione. Paolo Bruni, Presidente CSO, Centro Servizi Ortofrutticoli di Ferrara, ha messo in evidenza come sia necessario creare intese tra pubblico e privato poiché “nessuno da solo ce la può fare”. “Tutta l’Italia, ¬ ha precisato ¬ non si tratta solo del Veneto, non è riuscita a fare sistema. Cioè a definire una specifica programmazione e controllo delle dinamiche di produzione per governare relazioni di mercato complesse specie di fronte a un mercato globalizzato”
Quindi qualità vera e verificata, accorciamento della filiera, programmazione della produzione.
Nella pratica oggi non è possibile realizzare questi punti a livello nazionale. Però si può fare a livello territoriale, creando “intese” tra consumatore e produttore e tra “pubblico” e “privato”. Cioè un sistema territoriale che difenda prima di tutto il consumatore “attento al prodotto italiano di qualità e controllato”. Difendendo lui si difendono i produttori del territorio, quelli che la qualità la fanno sul serio. E la qualità oggi può essere verificata in modo oggettivo. Ci sono i mezzi tecnici per farlo, ma non sono applicati in Italia. Anche all’Università di Verona questi mezzi tecnici ci sono e sono disponibili. Ma non basta. Occorre anche che a livello territoriale pubblico e privato si uniscano per realizzare attività con cui rispondere al desiderio di conoscenza, di sapere, del consumatore. In modo che possa apprezzare le differenze di qualità tra un prodotto e un altro. Occorre che il territorio costruisca filiere di distribuzione brevissime di servizio, non altamente speculative come sono oggi, per proporre prodotti di qualità anche ad un prezzo concorrenziale con la Grande Distribuzione Organizzata.
Difendere il consumatore per difendere il vero Made in Italy di qualità.
In questo modo anche altre categorie meno fortunate di consumatori possono acquistare questi prodotti, rendendo il consumo continuo, prevedibile e programmabile. L’agricoltura di qualità italiana si può ancora salvare ma lo deve fare a livello territoriale, coordinando tutti gli stakeholders con un unico obiettivo: difendere il consumatore per difendere il vero Made in Italy di qualità. Facendo questo si aiuta la salute dei cittadini, si mantengono le attività agricole e l’economia del territorio, si salvaguardia l’ambiente. Non più a chiacchere.

Dr. Nicola Gozzoli
Presidente Insieme per la Terra