Nell’articolo-inchiesta di Eugenio Bonanata pubblicato sulla Marcia del Riscatto viene descritto in modo reale e pungente uno specchio di territorio destinato ad un progressivo abbandono.
Altro che d.o.p.
“Il 50% delle stalle da latte” da cui proviene il Parmigiano reggiano stanno chiudendo.
Dove prima c’era una stalla ogni 100 metri oggi prevalgono ampie distese di deserto. Siamo a Borghetto di Noceto (Parma).
Roberto, con le sue 120 mucche in mungitura, produce formaggio certificato bio: 2000 forme l’anno.
“La mia salvezza è quella di trattare con i Gruppi di acquisto solidale”. I Gas, per intenderci.
“In questo modo io prendo un prezzo congruo – chiarisce – e contemporaneamente il formaggio arriva direttamente sulle tavole delle famiglie, saltando tutti i passaggi intermedi”.
Le famiglie acquistano così, oltre al parmigiano, anche un pezzo di sapore che proviene da quel territorio. Roberto può interloquire con i cittadini consumatori e sapere come “sentono” il prodotto acquistato. Ma ha anche un altro canale con cui accede sul mercato: vende piccole quantità ad una cooperativa svizzera. “Loro così acquistano il parmigiano bio, che diventa ‘Swiss’”.
Ad oggi il mercato gli dà ragione e Roberto riesce a sopravvivere producendo Parmigiano reggiano. Ma aldilà del caso specifico, se si volge lo sguardo al comparto nel suo insieme, il quadro si fa grigio. “In questa zona – spiega Roberto – un tempo c’erano tante mucche e ognuno produceva formaggio. Oggi invece le stalle stanno chiudendo una dopo l’altra”. Si produce sottocosto da anni.
Nel frattempo, però, la macchina produttiva ha costi burocratici che stanno crescendo a dismisura. “Comune, Provincia, Consorzi e Asl fanno controlli simili su igiene e benessere animale. Sono troppi e inutili, visto che fanno tutti gli stessi controlli”. Soldi pubblici sprecati mentre gli allevatori producono in perdita. Al punto che stanno chiudendo le stalle.
Ed ecco il punto centrale. “L’abbandono delle terre e l’assenza di agricoltori sul posto rischiano di far scomparire un parmigiano legato al territorio”. Quale parmigiano reggiano d.o.p. si produrrà tra 10 anni? “Ci spingono a fare delle stalle industriali. Ma così più che agricoltori ci ritroveremo dei dipendenti. Più che lavoro manuale, andiamo incontro ad una meccanizzazione dei processi”.
Il parmigiano di domani rassomiglia sempre più ad “un surrogato industriale”. Ed è per scongiurare questo rischio che Roberto lancia l’ultimo allarme: “Bisognerebbe incentivare a non abbandonare queste terre, a custodirle; a produrre ciascuno in piccole quantità senza stalle mastodontiche”.
Non è romanticismo, ma il monito di chi conosce a menadito il suo territorio.
Peccato che l’Italia, tanto affezionata al suo made in Italy, sta virando senza ritorno in un’altra direzione, fatta magari di grossi numeri, ma ormai orfana della qualità!
Sinceramente con l’abbandono delle attività agricole ci domandiamo chi custodirà il territorio, le tradizioni e chi tutelerà la qualità di un prodotto nato oltre mille anni fa.
Dr. Nicola Gozzoli
Presidente Insieme per la Terra