LATTE: la verità sull’etichettatura, le prese in giro di #Martina e delle #sindacali

LATTE: la verità sull’etichettatura, le prese in giro di #Martina e delle #sindacali

Martina sapeva. Coldiretti sapeva. Confagricoltura sapeva. Tutti zitti come in una totale omertà, giusto per manipolare l’opinione degli allevatori e l’opinione pubblica. Ogni giorno che passa assistiamo agli annunci del Ministro Martina che, poi, vengono puntualmente smentiti o smascherati per quello che sono: bugie, solo bugie.
Avevamo annunciato che il decreto sull’etichettatura lattiero casearia non avrebbe sortito alcun effetto sulla produzione, ad eccezione, ovviamente, per i media filo governativi che hanno costruito spot elettorali di primo livello.
L’articolo analitico del Dr. Attilio Barbieri, pubblicato su www.italiainprimapagina.it, mostra chiaramente l’assurdità dell’attività di Via XX Settembre, spostata radicalmente a favore del mondo industriale.

Il 19 aprile entra in vigore il nuovo decreto sull’etichettatura d’origine per latte, yogurt e formaggi. Una svolta per l’agroalimentare italiano: così, almeno, pensavamo un po’ tutti. Finalmente i consumatori potranno scegliere i prodotti lattiero caseari veramente made in Italy sugli scaffali dei supermercati. Ebbene, non sarà così. E per un motivo molto semplice: il decreto 9 dicembre 2016 contiene una fregatura. Ma andiamo con ordine. Vi racconto come ho fatto a scoprirlo.
All’inizio di febbraio alcuni produttori di latte assieme a due caseifici italiani, mi segnalano la pubblicazione sul sito del Ministero dello Sviluppo economico di una circolare a firma di Stefano Firpo, direttore del ministero guidato da Carlo Calenda. In base a questa circolare, che interpreta il decreto del 9 dicembre, sarà possibile etichettare come made in Italy anche il latte importato. Di più: i produttori disinvolti potranno addirittura mettere il tricolore sulla confezione, accanto alla dicitura Prodotto in Italia. Questo, mi spiegano allevatori e casari, succederà in forza del punto 6 della circolare Firpo che recita:
«In aggiunta alle diciture di origine previste dal decreto è possibile impiegare diciture con significato equivalente (…) purché le stesse non ingenerino confusione nel consumatore».
A titolo esemplificativo la circolare del 2 febbraio 2017 ne elenca alcune, inclusa quella che permette di dare il passaporto italiano al latte importato:
«L’indicazione Made in Italy nel caso in cui il paese di trasformazione sia l’Italia»…
Il titolare dell’Agricoltura è infatti cofirmatario assieme a Calenda del decreto 9 dicembre 2016. E Martina si muove. Il tam tam degli ambienti vicini ai palazzi romani riferisce di un «confronto serrato» fra i due dicasteri. Alla fine di febbraio, per la precisione il 23, sul sito delle Politiche Agricole, compare una seconda circolare, questa volta a doppia firma (eccola). Il testo ricalca quello della circolare precedente, ma al punto 6 sparisce qualunque riferimento al made in Italy. I due documenti rimangono online assieme per alcuni giorni, per lo meno fino al 4 marzo e io ne conservo la prova, avendo salvato le schermate dei siti. La circolare fatta pubblicare da Martina a fine febbraio è a doppia firma: Francesco Saverio Abate, direttore generale per la qualità al Ministero delle Politiche Agricole, e Luigi Firpo. Già, proprio lui. Un pasticcio, insomma. Due documenti simili nella forma, ma diversissimi negli effetti che possono produrre sull’etichettatura, sono accessibili e scaricabili contemporaneamente per un lungo periodo.
Tutto a posto dunque? Il pasticciaccio brutto di via Vittorio Veneto (dove hanno sede i dicasteri dello Sviluppo e dell’Agricoltura) può dirsi superato? Purtroppo no. Il diavolo si nasconde nei dettagli. Del decreto. Dopo tutto quel che è accaduto decido di analizzarlo. Ed ecco la sorpresa. All’articolo 1, comma 3, leggo:
«Resta fermo il criterio di acquisizione dell’origine ai sensi della vigente normativa europea».
È l’espressione «acquisizione dell’origine» a insospettirmi. Mi ci ero imbattuto qualche settimana prima di questi fatti, a proposito dell’etichettatura del prosciutto cotto Beretta, che scrive proprio Prodotto in Italia, come mi ha spiegato il direttore marketing del salumificio lecchese, in virtù di una norma contenuta nel Codice doganale comunitario. Nel mio cervello si accende una spia rossa. E decido di controllare. Così mi si chiarisce tutto: l’articolo 60 del Codice doganale dell’Unione europea è intitolato proprio Acquisizione dell’origine e al comma 2 recita:
«Le merci alla cui produzione contribuiscono due o più paesi o territori sono considerate originarie del paese o territorio in cui hanno subito l’ultima trasformazione o lavorazione sostanziale ed economicamente giustificata, effettuata presso un’impresa attrezzata a tale scopo, che si sia conclusa con la fabbricazione di un prodotto nuovo o abbia rappresentato una fase importante del processo di fabbricazione».
Latte a lunga conservazione, yogurt e formaggi, avendo subito l’ultima trasformazione sostanziale nel nostro Paese, diventano così, per magia, italiani. Dunque la circolare Firpo non era neppure necessaria. A dare il passaporto tricolore al latte importato ci pensa direttamente il decreto sulle etichette trasparenti (si fa per dire). E ora capisco anche perché la Commissione europea non ha avuto nulla da dire sul provvedimento, lasciando che entrasse in vigore in base al principio del silenzio-assenso. Bruxelles non ha eccepito niente perché la norma rispetta lo spirito comunitario. Né è pensabile – a discolpa di Calenda e Martina – che un provvedimento italiano, per quanto sperimentale, possa stravolgere le regole comunitarie.
È così che ci fregherà l’industria del finto made in Italy. I consumatori acquisteranno tranquilli latte, yogurt e formaggi, convinti che faccia fede il nastrino tricolore. Chi mai andrà a pensare che si tratti di falsi prodotti italiani?

Non so voi ma noi siamo veramente stanchi di essere presi in giro da questi politici e sindacalisti incapaci e filo industriali. Gesmundo prende 2.000.000 di euro annui per poi non “sapere” la legislazione in vigore. Moncalvo prende 1.000.000 di euro per poi non “sapere” la legislazione in vigore. Prandini prende 325.000 euro annui per poi non “sapere” la legislazione in vigore. Bugiardi !

Dr. Nicola Gozzoli
Presidente Insieme per la Terra